sabato 3 settembre 2011

Post serio e palloso sul ruolo delle donne

Ho pensato parecchio a come scrivere questo post: Simone de Beauvoir, che mica era una che cazzeggiava con i blog, ha scritto un libro di 400 pagine per esemplificare quello che voglio dire io in 30 righe; ma visto che mi sono decisa a farlo tanto vale saltare la captatio benevolentie.
Il primo giorno di scuola, la prima volta, la laurea, il primo lavoro, niente ti dà la percezione netta che tutto è cambiato per sempre da un preciso momento, come la nascita del tuo primo figlio. Una parte di mondo a cui prima avevi prestato poca attenzione, le mamme, diventa improvvisamente il tuo e annaspi cercando di farlo convivere con quello che c'era prima, che tu per brevità definivi "la mia vita".
Per quanto il tuo compagno sia un padre meraviglioso, è un fatto che la prima e l'ultima parola che uno dice nella vita è "mamma" e non è un caso. Anche le donne più sportive capiscono ben  presto che la prima linea sono loro, e il resto un po 'dopo.
La forma mentis che si chiede oggi alle madri di famiglia è classificata nel DSM-IV sotto la voce "schizofrenia". Da una parte infatti si sottilinea sempre più come la costante presenza dei genitori (della madre), sia una condizione indispensabile alla crescita dei figli che sennò poi si drogano, diventano anoressici o finiscono nelle baby gang. Gli si chiede, in pratica, di essere madri che stanno a casa.
Nel mondo del lavoro invece, la competititvità richiede alle donne di essere sempre più come uomini: in carriera, dedicate al lavoro anima e corpo, razionali; gli si chiede cioè di essere donne senza figli. 
So che ,messo giù così in astratto, quello che ho scritto può sembrare un delirio veterofemminista, ma per rendervi conto della sua applicazione nella vita di tutti i giorni, fate un piccolo test: contate quante volte in un mese avete sentito, al bar, in ufficio, in casa, una o più di queste frasi:
- "Eh, povera bambina! la mamma lavora l'hanno cresciuta i nonni"
- "Ora che l'hanno assunta si farà mettere subito incinta"
- "beh certo, con la madre che sta sempre a lavoro chi li guarda quei ragazzini?"
- "Ora che è incinta ne approfitterà per stare via almeno due anni!"
- "Chi vuoi che gli insegni l'educazione se stanno sempre con la baby-sitter?"
- "Se la madre stesse a casa a fare i compiti con lui non andrebbe così male a scuola!"
- "Figurati che razza di madre, è andata fuori per il weekend lasciandolo ai nonni"
- "Non è che perchè è incinta può pretendere di non lavorare!"
Alle donne della mia età si chiede, indipendentemente da ogni considerazione di attitudine o preferenza, di dare il loro contributo al bilancio familiare e contemporaneamente di svolgere le funzioni di ammortizzatore sociale con i bambini e gli anziani che le spettano storicamente.
In questi 15 mesi di maternità mi sono confrontata con molte donne, ma qualunque scelta avessero fatto - restare a casa a fare le madri di famiglia, o andare a lavorare - la maggior parte di loro non sfuggiva ad un senso di disagio, di inadeguatezza indipendente dalla quantità di impegno, di preparazione, dai risultati raggiunti.
E questa secondo me è la vera essenza della discriminazione.

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